Tre pensierini su Steve Jobs vs. “a nation of bloggers”.

  • Dire “non voglio che ci trasformiamo in una nazione di blogger” può significare tante cose. Se Jobs intendeva criticare il sensazionalismo, l’indignazione permanente e, talvolta, l’assenza di verifiche che accompagnano certe modalità di comunicazione via internet, ha anche ragione: ma la stessa obiezione potrebbe essere fatta anche ai cosiddetti “media tradizionali” che oggi, per inseguire la velocità del web o aumentare la propria popolarità, spesso commettono i medesimi errori.

  • La verità è che con internet aumenta la mole d’informazioni a nostra disposizione, quindi cresce ancora di più il bisogno di selezione e di verifica: è sempre stato quello uno dei compiti dei media (e la gente ha sempre pagato per avere questo servizio). L’altro è cercare notizie e raccontare storie e la Rete da questo punto di vista è una ricchezza (basti pensare a siti come wikileaks, dove arrivano documenti e scoop che non trovano spazio altrove).

  • Comunque i blogger e i blog non sono da sottovalutare. Soprattutto in paesi dove la libertà di esprimersi, o solo di raccontare il proprio paese, è inesistente o molto limitata. Penso a Yoani Sánchez a Cuba o a Salam Pax, in Iraq, qualche anno fa.

Sullo stesso tema anche Massimo Adinolfi, Michele Boroni, Paolo Ferrandi, Mauro Garofalo, Alberto Simoni e Carlo Stagnaro.

[Il Foglio.it - NY Observer]