Il New York Times Innovation Report, l’inchiesta interna (e, in teoria, riservata) del più grande giornale del mondo realizzata per capire come si fa ad avere più lettori al tempo dell’Internet, è forse il documento più interessante che leggeremo quest’anno per avere un quadro chiaro sull’industria del giornalismo oggi.

Noi italiani, considerata l’arretratezza del panorama, potremmo evitare di guardarlo per un altro paio di anni, ma chi pensa davvero di voler lavorare nei media, chi ci lavora e si annoia, chi non sa da dove iniziare per costruirisi una qualche carriera nei giornali di domani deve solo scaricare il pdf e preparare la lista dei corsi di aggiornamento da seguire. Io, intanto, segno qui, alcune cose che è meglio non far volare via. Senza dimenticare che, di questi tempi, è tutto un po’ volatile: in fondo, il contenuto più letto del New York Times nel 2013 non è stato un articolo di grande giornalismo da Pulitzer, ma un quiz.

###I tuoi contenuti sono il tuo prodotto L’introduzione del rapporto dice due cose, che valgono per il Times come per tutti i giornali:

  1. The New York Times is winning at journalism. […] Our core mission remains producing the world’s best journalism.
  1. At the same time, we are falling behind in a second critical area: the art and science of getting our journalism to readers.

Negli ultimi anni, persino in Italia, gli editori più tradizionali hanno cominciato a pensare ai lettori come “clienti”. Ecco, l’esperienza americana, che pure fa ampio ricorso a strumenti ambigui come il native advertising, oggi dice: occhio, non perdiamo di vista il nostro core business, è quello il nostro valore; vendiamo contenuti giornalistici (ognuno ha poi il suo target e la sua unicità). Un giornale oggi non può prescindere da due obiettivi: costruire contenuti che abbiano un valore, farli arrivare ai lettori, far sì che quegli stessi lettori continuino a leggere quel giornale. In mezzo, ovviamente, ci sono la pubblicità, il marketing, l’esercizio di un qualche potere politico, ma oggi - soprattutto - c’è il web. Con internet, dicono i tipi del Times, puoi scrivere anche il miglior pezzo del mondo, ma poi è possibilissimo che siano altri siti di news, pur citandoti, ad avvantaggiarsene. A loro succede spesso, ma il caso più clamoroso riguarda un pezzo di 161 anni fa:

On Oscar night, The Times tweeted a 161-year-old story about Solomon Northup, whose memoir was the basis for “12 Years a Slave.” After it started going viral on social media, Gawker pounced, and quickly fashioned a story based on excerpts from our piece. It ended up being one of their best-read items of the year.

drawing

###Disruption, ovvero Beppe Grillo è il nostro Buzzfeed ma senza LOL e gattini Secondo il Rapporto, la forza dei media digitali che ogni giorno surclassano un gigante come il New York Times, sta nella loro capacità di sconvolgere il panorama grazie alla tecnologia. La parola usata è Disruption e la storia è questa:

  1. Il pezzo grosso del mercato innova apportando miglioramenti graduali al suo prodotto, focalizzandosi sulla qualità e tenendo ben presente il modello di business che funziona per lui.
  2. Lo sfidante di turno, il disruptor, inizia proponendo prodotti di qualità più bassa che non sembrano in concorrenza con quelli del pezzo grosso. Pensate ai gattini di Buzzfeed, ai Samsung che imitano a scoppio ritardato gli iPhone, persino a Beppe Grillo che ha rubato una certa scena politica a Silvio Berlusconi (che non è un iPhone, ma insomma, ci siamo capiti).
  3. A un certo punto il disruptor usa la nuova tecnologia così bene che migliora il suo prodotto e lo rende “buono abbastanza” per la nicchia di mercato del pezzo grosso e anche per tutti gli altri. E quindi l’Huffington Post e Buzzfeed generano molto più traffico del Times, Samsung vende 40 milioni di S4 in sei mesi, Grillo verosimilmente fa diventare il suo Movimento 5 Stelle il secondo partito d’Italia.

Ora, è chiaro che di casi con risultati opposti ce ne sono molti (il primo che mi viene in mente è il successo e la breve vita della free press), ma quando l’equazione dà come risultato “giornali+internet”, grosso modo va come detto sopra. In Italia, però, il guru del momento sembra essere l’Urbano Cairo che fa affari felice, fa il disruptor e il web dice di evitarlo perché non lo capisce:

Non è vero che con i giornali non si possono fare soldi. Io li faccio. Ma quando fai un giornale devi parlare al pubblico, devi rendere appetibile il prodotto. E quindi devi pensare con la testa di chi compra, non con la testa dei padroni.

Insomma, torniamo al punto 1: winning journalism, lettori. Funziona per il Times come per Diva e Donna. Ma è proprio la sfida di attirare più lettori utilizzando il web quella più interessante. Anche se i soldi, generalmente i tre quarti degli incassi, arrivano ancora dalla carta.

###Più lettori, che leggano di più Torno al Report del Times. Come si attirano oggi, verosimilmente anche domani, più lettori? Ci sono tre parole d’ordine:

  1. Scoperta. Cioè strutturare e taggare i contenuti perché siano trovati. Far arrivare le notizie al lettore giusto, al momento giusto, nel formato giusto. Ripescare contenuti di valore ma non di estrema attualità, rifare il packaging e riproporli.
  2. Promozione. Redattori e reporter che pubblicizzano il loro lavoro (social, conferenze, telefonate, passaparola tra influencers, vale tutto). Ottimizzare le redazioni perché il loro prodotto ottenga il massimo della visibilità.
  3. Connessione. Aprirsi ai lettori. Dialogare con loro nel giornale ma anche fuori. Valutare i contenuti generati dagli utenti.

In tutti e tre i processi i giornalisti devono darsi da fare perché il lavoro non finisce più quando mettono l’ultimo punto in fondo al loro pezzo.

”At The New York Times, far too often for writers and editors the story is done when you hit publish,” said Paul Berry, who helped found The Huffington Post. “At Huffington Post, the article begins its life when you hit publish”.

La buona notizia è che, in redazione, a fare il nuovo lavoro, non resteremo soli.

drawing

###Redazioni senza (solo) giornalisti Ora, parlare di aprire le redazioni dei giornali nel Paese dove esiste uno degli ordini professionali più chiusi ever è abbastanza naïf. Pura fantascienza è anche una qualche organizzazione che somigli alla incasinata redazione-hypercamp teorizzata da Dave Winer con tanto di schizzo postato su Flickr, e rilanciata in questi giorni.

Comunque sia, la pagina 59 dell’Innovation Report del Times andrebbe letta, mandata a memoria e poi almeno sognata, dato che richiede una quantità di innovazione, strategia, professionalità e forza lavoro che poche aziende editoriali italiane sarebbero desiderose di mettere in campo.

La redazione ideale dovrebbe:

  • collaborare con le divisioni business (dal marketing al design, al R&D) per migliorare in ogni modo possibile l’esperienza del lettore.
  • creare e ospitare al suo interno una squadra tattica (strategy team) che consigli costantemente i vertici del giornale sui movimenti della concorrenza, i cambi di abitudine dei lettori, migliorare i prodotti.
  • trasformare le redazioni, in “newsroom digital first”: perché i giornali oggi si chiudono di sera, ma il picco nella lettura online è al mattino; perché la prima pagina sta perdendo progressivamente peso e importanza; perché nella valutazione del merito bisogna considerare tante competenze nuove.

###Che cosa dovremmo studiare ora La squadra tattica è per certi versi l’innovazione che più colpisce (anche perché già si dà per scontata la convivenza tra redazione digital e redazione cartacea e l’indubbio beneficio della reciproca contaminazione).

The core function would be ensuring the masthead is apprised of competitors’ strategies, changing technology and shifting reader behavior. The team would track projects around the company that affect our digital report, ensuring the newsroom is at the table when we need to be. […] It would be a neutral internal adviser dedicated to improving everyone’s game.

Per far parte di questo strategy team in curriculum ci vogliono radicate conoscenze in:

  • giornalismo
  • tecnologia
  • esperienza utente (user experience)
  • marketing
  • analytics

Che si vada o no in questa direzione, è comunque ora di aggiornare le conoscenze professionali e riorganizzare le redazioni. Perché è da ingenui pensare che l’unica innovazione del giornalismo nel 2014 sia rivedere al rialzo la regola delle 4S in prima pagina (Sangue, Sesso, Soldi, Sport) aggiungendo la quinta S di Selfie. E il solito gatto.

—— PS: gli autori del report sono Adam B. Ellick, A.G. Sulzberger, Adam Bryant, Amy O’Leary, Elena Gianni, Andrew Phelps, Charles Duhigg, Ben Peskoe, Jon Galinsky e Louise Story.