Giorni fa aveva fatto il giro della blogosfera un pezzo di Tim Porter dedicato al futuro dei giornali locali e alle loro uniche - secondo lui - linee di sviluppo per non morire. A chi può interessare segue qui una versione non rivista e tradotta abbastanza “con l’accetta”.

Tim Porter If Newspapers Are to Rise Again Reinvent or die. It’s that simple. [Nieman Reports]

I giornali sono nei guai, i più seri da quando la televisione 60 anni fa cominciò a erodere fette consistenti di pubblico. (…) Pagano il pedaggio per il modello di giornalismo che abbiamo considerato una necessità in una società democratica. C’è comunque bisogno di ripetere la spiacevole verità che giornalisti e amministratori editoriali non vogliono sentire: sono loro stessi i responsabili del declino del numero di lettori e della rilevanza dei giornali, almeno lo sono quanto gli spauracchi citati automaticamente come cause del problema - internet, i fastidiosi blogger, il disinteresse dei giovani, quel tale Craig di San Francisco [http://www.craigslist.org].

Perché tutto ciò? Perché l’avversione al rischio delle redazioni ha passato diversi decenni ignorando la società che cambiava attorno ad esse, rifiutando di abbracciare le nuove tecnologie e preferendo la difensiva: una rigida gerarchia all’interno e una ancor più rigida definizione di “news” che produce una forma di giornalismo “stenografico”, rimasto immobile in omaggio alla tradizione mentre il mondo è andato avanti.

C’è però una buona notizia. In un contesto di budget ridotti, acquisizioni, infinite previsioni di disastri, c’è ancora una possibilità. Anzi, a dire il vero i giornali non hanno mai avuto un’occasione così grande, o comunque una ragione così grande per cercare di coglierla. L’opportunità non sta bussando alla porta, sta per buttarla giù e urlare: Reinventiamoci!

I giornali adesso hanno la loro occasione - nonostante siano stati messi di fronte al fatto compiuto - di cancellare decenni di pratiche ripetitive e processi meccanici. Hanno la possibilità di costruire nuove forme di giornalismo che operino nel solco dei tradizionali princìpi di correttezza, responsabilità e vigilanza ma che non siano legate alle ormai stanche definizioni di cosa sia una “notizia”, come debba essere presentata e chi debba avere gli strumenti per farlo. Reinventare o morire. E’ semplicissimo. E la morte sarà così lenta e dolorosa, un progressivo scivolare nella mediocrità e nell’anonimato, mentre budget sempre più ridotti ridurranno personale e il pubblico opterà per nuove, più adeguate fonti di informazione.

LA STRADA DELLA REINVENZIONE La Reinvenzione deve cominciare dal cuore, dal nucleo, ovvero dal ciò che i 1,450 quotidiani americani - che non sono il New York Times, il Wall Street Journal o Usa Today - sanno fare meglio: coprire le notizie locali. E’ quella locale la dimensione privilegiata dei giornali. Storie locali, fotografie locali, commenti locali, informazione locale, interazione a livello locale con la comunità.

Yahoo e Google tirano fuori a pieno schermo una grande quantità di notizie nazionali e internazionali. Il belato della blogosfera e il sibilo dei protagonisti della tv via cavo forniscono punti di vista qualificati. Myspace, Flickr e gli altri social network hanno già costruito quelle comunità virtuali promesse alla nascita di internet. Il “one-time media” di una volta è stato tagliato a fette sottili e trasformato in un “me-media”, un feed rss per ognuno di noi, una opinione espressa per ogni punto di vista possibile, ognuno diventa editore. E tutto quello che resta è il giornalismo. Giornalismo a livello locale. Questa è la nicchia, la fetta, che i giornali possono e devono avere.

Già sento le proteste. I direttori che indicano le numerose storie locali che già pubblicano nei loro giornali, ai progetti di sviluppo e allo staff che, ridotto senza dubbio, già è orientato in primo luogo proprio sulle notizie a livello locale. Va bene, ma guardiamo bene. E’ vero, molti giornali ogni settimana producono centinaia (almeno) di colonne dedicate alle notizie locali, ma a che servono tutti quei pixel e quell’inchiostro? Nella maggior parte dei giornali a livello regionale, dai 2/3 ai 3/4 di tutte le notizie locali - sport escluso - riguardano istituzioni (Comune, Provincia e Regione), cronaca nera e giudiziaria e rapporti (altre istituzioni). Contatele pure guardando sul vostro giornale. E mentre i giornali diventano più piccoli queste storie diventano sempre più visibili a occhio nudo (…).

Se i giornali fossero ristoranti il loro motto sarebbe: “Entrate pure. Il cibo non è un granché, ma ce n’è a volontà”. Purtroppo tutto ciò ha stancato, la nuova formula centrata sulle istituzioni rende impossibile dare ai lettori quella cosa che Il Readership Institute della Northwestern University trova più gradito al pubblico: un’esperienza. Le persone vogliono un giornalismo che li faccia sentire più intelligenti o li faccia sentire più sicuri o li faccia vibrare, agitare, trepidare o altrimenti muoverli a un’emozione. Non troverete però queste caratteristiche nelle sale istituzionali dove i giornalisti passano così tanto tempo.

Non fraintendetemi. I giornalisti devono seguire le amministrazioni e la cronaca nera - ma i politici e i burocrati e i poliziotti e i criminali non sono un’audience; lo sono invece l’elettorato, i contribuenti, le vittime e tutte le altre persone comuni al servizio delle quali queste istituzioni sono nate. Invece il taglio attuale che regna nelle redazioni incoraggia le notizie riportate dal punto di vista delle amministrazioni invece che dalla parte del lettore comune - e questo genera una lettura più blanda. Non deve essere così. Possiamo cambiare il modo di fare e i processi del giornalismo e mantenere tuttavia intatti i suoi principi di base. Ecco come.

**1. Cominciate con una domanda. **Se poteste rifare la vostra redazione, con la stessa spesa e lo stesso numero di redattori e collaboratori, ma con l’unico obbligo di creare un prodotto stampato e uno elettronico, cosa cambiereste? Assumereste le stesse persone? Creereste le stesse sezioni? Manterreste la stessa grafica, sia su carta che sul web? Andreste avanti con le stesse modalità di lavoro? Certo che no. E allora perché continuate a fare così? Rispondere a questa domanda - onestamente - è molto complesso e implica una serie di confronti che partono dal discorso assunzioni e passano per gli obiettivi dell’editore, la strategia editoriale e arrivano fino al prodotto industriale. Insomma, la solita domanda: dove vogliamo andare?

2. Mettete le persone al posto giusto - dove sono le priorità. Ci serve un critico cinematografico? Se la risposta è no, utilizziamo quel posto di lavoro per un ruolo che ci serve. Abbiamo bisogno di corrispondenti esteri? O già paghiamo per i grandi giornali nazionali e le agenzie di stampa? E lo sport che si svolge fuori dal nostro territorio? I lettori davvero si interessano alle firme? Centinaia di colonne per gli orari dei programmi televisivi, i listini di borsa e i cinema? Mettiamoli online. Dopo aver riallineato le risorse, orientato le priorità verso la comunità, e dopo discussioni assai difficili, avrete a disposizione giornalisti e tempo per produrre altre cose - contenuti autenticamente locali, un prodotto editoriale più bello, interazione con la comunità che vi circonda. Questo vuol dire sviluppare un prodotto.

3. Determinate le capacità necessarie alla vostra redazione per raggiungere i vostri obiettivi. I reporters hanno bisogno di imparare come usare le apparecchiature digitali come macchinette fotografiche, video e audio? I manager hanno bisogno di imparare a collaborare? Questo è sviluppare le proprie risorse.

4. Uccidete la cultura difensiva e autoritaria della redazione. Spazzate via le gerarchie. Non dirigete, piuttosto fornite mezzi e liberate le energie (“don’t manage, enable”). Le redazioni sono piene di persone creative i talenti e le ambizioni delle quali sono schiacciate da una pletora di regole inibenti. Ricompensate gli sforzi. Sbagliate. Imparate. E ripetete. (..) Questo è divertimento.

**5. Datevi un’immagine. **Non dico un marchio, semmai un’identità. Ne abbiamo tutti una, quindi anche un giornale deve averla; qualche cosa per cui sia conosciuto, una firma che rifletta un determinato zelo verso l’eccellenza, per essere assolutamente il migliore in qualche cosa che lo separi dal resto dei media. Ottima scrittura. Eccellenti inchieste. Rubriche di successo. Ampia partecipazione dei lettori. Grande semplicità. L’obiettività non è sinonimo di personalità.

6. Prendendo in prestito una frase di Hodding Carter, non raccontate la comunità, siate la comunità. (…) La tecnologia ha dato alle persone, come ha scritto Jay Rosen, a “quella che una volta era chiamata l’audience” la possibilità di pubblicare. La gente sta tornando a parlare, ad avviare conversazioni, con le nuove forme di comunicazione e con la stampa. I giornali possono unirsi a questa conversazione e provare a unirsi alle comunità di interessi locali. Oppure stare zitti ed essere lasciati indietro.

** 7. Per finire, comandano le grandi idee.** E’ troppo tardi per metterci una pezza. Non c’è tempo per spostare ancora una volta sedie e scrivanie. I media sono esplosi. Dobbiamo far esplodere anche le redazioni. E’ l’ora di una grande transizione nel giornalismo. I grandi fenomeni come tecnologia, demografia ed economia stanno muovendo il terreno sul quale il giornalismo della carta stampata è stato in piedi per oltre mezzo secolo. Sopravvivere richiede agilità, risolutezza e un fermo senso di ciò che è possibile. Si chiama leadership. I giornali che sapranno acquisire queste qualità cresceranno bene - e così il loro giornalismo.

Tim Porter