Fini, che era stato in silenzio a lungo, oggi ha parlato tanto e in sostanza ha detto: voglio essere il punto di riferimento dell’establishment che non vota a sinistra e che non se ne vuole vergognare. Volete sapere la mia su uno dei titoli principali di Corriere e Repubblica delle ultime settimane? Ecco, sentite qua il mio discorso. Gheddafi? Ce l’ho. Insegnanti? Ce l’ho. Fiat? Ce l’ho, sto ancora un po’ sul generico, ma ce l’ho. Riforma elettorale? Ce l’ho. I 150 anni dell’Unità d’Italia? Non frega niente a nessuno, ma ce l’ho. Precariato? Certo che ce l’ho, li leggevo i giornali ad Ansedonia…

Magari funziona, però è un po’ tutta fuffa retorica: il governo fa una cosa e  tu dici che ne poteva fare un’altra. O quella che ha fatto è sbagliata perché non ti danno mai retta. O quella che non ha ancora fatto era la prima da fare. No, forse non paga, però magari ti mette abbastanza al sicuro per non sporcarti quando, un giorno, ci sarà sangue dappertutto e tu potrai dire: quello non era il Pdl mio, ve l’ho detto a Mirabello, senza di me era solo Forza Italia allargata.

Fini parla bene, dice cose (un po’ generiche, a dire il vero) anche condivisibili, ha dimostrato indubbio coraggio, ma quanto al governare  (come dice lui: “governare significa comprendere le ragioni di tutti e garantire equilibrio”) resta quello che - da quando vince le elezioni - si è sempre preso meno responsabilità senza rinunciare alla sua fetta di potere. Adesso riparte dai Barbareschi e dai Tremaglia, coi farefuturi e con la stampa che non vedeva l’ora di trovare un altro attore in funzione antiberlusconiana. E il bello è che, a oggi, per la politica italiana, il nuovo - l’Eyjafjallajökull - è lui.

O, come scrisse, meglio di tutti noi, Ezio Mauro:

C’è parecchio lavoro da fare, nell’interesse del Paese, per evitare che l’avventura berlusconiana si compia al Quirinale. Non ultimo, cercare un leader che possa sfidare il Cavaliere e vincere, come avvenne con Prodi: e cercarlo in libertà, anche fuori dai percorsi obbligati di età, di appartenenza e di nomenklatura. Forse, anche a sinistra è arrivata l’ora di un Papa straniero.

[Farefuturo - Repubblica]