Kevin Kelly, in uno dei saggi più belli degli ultimi anni (Quello che vuole la tecnologia), scriveva grosso modo che il processo che intercorre tra lo scatto con una macchina fotografica a pellicola e l’effettiva fruizione della foto è «uno sfasamento temporale che rallenta l’apprendimento e deprime la spontaneità». Eppure, dopo un tot di anni d’ingombranti ma avanzatissime reflex digitali, il dubbio ti viene:
quanto è mia questa foto?
Perché 51 punti di messa a fuoco e 7 fotogrammi al secondo qualcosa di buono da stampare, prima o poi, te la danno. Devi solo scattare e poi navigare tra quintali di gigabyte. Se c’è da fare qualche aggiustamento, un taglio, un contrasto da recuperare, o una macchia da togliere, qualche software che ti aiuta c’è sempre. La tua foto è sempre tua, ma nel processo ha perso spontaneità, messo il pilota automatico e, che tu lo voglia o no, è finita diverse leghe davanti a te. Bene, male, non so… Sembra uno di quei casi in cui la tecnologia finisce per sopravanzare la tecnica. Ecco, se non è il risultato immediato che t’interessa, ma la consapevolezza di quello che fai (soprattutto se tutta questa tecnica non ce l’hai), prima o poi devi tornare ai fondamentali. Fare un passo indietro, rallentare, capire quello che sai fare e imparare a farlo meglio. O, come ti direbbe un professore di liceo, passare dalla traduzione latino-italiano a quella italiano-latino. Quindi, Kevin, sì, siamo nel 2012 e questa qui sopra è una Leica M6.
{KK - Codice - Ken Rockwell}