Questa è una rassegna stampa in differita. Dunque, l’altro ieri sui giornali c’erano due cose proprio interessanti da leggere per fare il punto. No, non la cosa della nuova P2 di D’Avanzo (se vi puzza, leggete il Ferrara partisan). Ma Francesco Giavazzi (sul Corriere) e Fareed Zakaria (tradotto da Repubblica).
Il primo, in un fondo mal titolato, spiegava l’Italia di oggi:
**La produttività dipende dall’innovazione e quindi dalla qualità del capitale umano: se non si migliora la scuola non c’è speranza. **Finché eravamo un Paese di aziende manifatturiere l’istruzione era meno importante: molti mestieri — il saldatore di metalli, il falegname — si imparavano lavorando. Ma in un’economia di servizi senza una buona istruzione si è perduti perché si rimane schiacciati in mestieri sottopagati.
L’indagine dell’Ocse sui livelli di apprendimento dei ragazzi quindicenni (« Problem Solving for Tomorrow’s World ») mostra non solo un ritardo delle scuole italiane rispetto a quelle europee, ma anche un forte divario fra Nord e Sud, anche a parità di voto scolastico. Un 4 in matematica in una scuola del Nord mostra un livello di conoscenze superiori a un 7 in una scuola del Sud. Se poi confrontiamo i quindicenni italiani con i loro colleghi europei, la percentuale di coloro che — posti di fronte a un problema relativamente semplice, come decidere il percorso più efficiente in un viaggio che deve toccare 6 città diverse — ottengono un voto superiore a 592 (in una scala da 0 a 750) sono il 30% in Finlandia, il 22% in Francia, Germania e nella Repubblica Ceca, solo l’11% in Italia.
E’ vero che le pensioni sono basse: la pensione media è di circa mille euro al mese. Ma come si possono pagare pensioni più alte in un Paese in cui 16 milioni di pensionati sono sostenuti da solo 24 milioni di lavoratori, quasi 7 pensionati per ogni dieci lavoratori?
Il secondo, l’indo-americano, distruggeva l’amministrazione Bush, ma spiegava perché l’America può ancora essere fiera di sé e guardare con ottimismo al futuro:
For those who look at the future and see challenges, competition and threats, keep in mind that this new world has been forming over the last 20 years, and the United States has forged ahead amid all the turmoil. In 1980, the U.S. share of global GDP was 20 percent. Today it is 29 percent. We lead the world in technology and research. Our firms have found enormous success in new markets overseas. We continue to generate new products, new brands, new companies and new industries.
**We are not really in competition with Chinese and Indian workers making $5 a day. We want Americans to make things that they can’t, move up the value chain and work on increasingly sophisticated products and services. We have an educational system that can help make this happen. **Of the 20 best universities in the world, 18 are American. And the quality of American higher education extends far and deep, from community colleges to technical institutes.
Perhaps the most hopeful sign for the United States is that alone among industrial nations, we will not have a shortage of productive citizens in the decades ahead. **Unlike Germany, Japan and even China, we should have more than enough workers to grow the economy and sustain the elderly population. This is largely thanks to immigration. **If America has a core competitive advantage, it is this: every year we take in more immigrants than the rest of the world put together.