Anche se non arriviamo tutti a dare un nome al nostro laptop, è evidente che con i gadget abbiamo un rapporto affettivo quasi “umano”. Non si spiegherebbe, per esempio, l’autentica sofferenza che si prova a vedere un iPhone andato in frantumi (cosa che accade piuttosto di frequente, a quanto pare). Il perché di tutto questo lo spiega Clifford Nass nel libro “The Man Who Lied to His Laptop”, del quale aveva già parlato il Wall Street Journal:
Our brains can’t fundamentally distinguish between interacting with people and interacting with devices. We will “protect” a computer’s feelings, feel flattered by a brown-nosing piece of software, and even do favors for technology that has been “nice” to us. All without even realizing it.
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