Forse Ahmadinejad il pazzo avrebbe vinto le elezioni anche senza i discorsi “volemose bene” di Obama. Tant’è… ma oggi lo sconfitto politico è lui. Franco Venturini:
Per cominciare è opportuno, ora che conosciamo il nome del vincitore, identificare quello del vero perdente. Che non si chiama Hossein Mousavi, bensì Barack Obama. Il presidente statunitense, con una scelta a nostro avviso giusta dopo il troppo tempo perso dall’incomunicabilità bushiana, ha offerto a Teheran un dialogo senza precondizioni finalizzato al superamento della questione nucleare. Il messaggio è stato indirizzato al presidente in carica Ahmadinejad e alla «guida suprema» Khamenei. Ma è evidente che la Casa Bianca, pur facendo attenzione a non interferire nella vicenda elettorale iraniana, sperava che dalle urne uscisse un segno di discontinuità. Sperava di avere per controparte una persona diversa da Ahmadinejad, magari dura, magari anch’essa favorevole al progetto nucleare, ma non macchiata dalla negazione dell’Olocausto e dalle minacce all’esistenza dello Stato di Israele. Una persona con la quale fosse più agevole, anche e soprattutto sul fronte interno americano, avviare il negoziato appena messo in cantiere. Ora questa speranza è svanita.
E, ancora prima, Christian Rocca:
Se mi chiamassi Gad Lerner sosterrei che il discorso del Cairo ha convinto gli iraniani che da Obama potranno ottenere tutto quello che vogliono, a cominciare dal nucleare, e che non è il caso di mollare, proprio adesso che gli americani aprono le porte.
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