Ognuno ha le sue debolezze. Leibniz non può mai fare a meno di attendere con una certa curiosità i libri snob del direttore di Panorama. L’ultimo, «Grand Hotel» è addirittura dedicato a Diego della Valle:
Guardateli. Il Baron di Aleppo, il Cecil di Alessandria d’Egitto, l’Aletti di Algeri, l’Eden e l’Hassler di Roma, il Cipriani di Venezia, l’Imperial di Vienna, l’Astoria di San Pietroburgo o il Ritz di Madrid, il Minzah di Tangeri, il Reid’s di Madera, il Mount Nelson di Capetown, il Carlyle di New York, il Pelikan di Miami, il Bel-Air di Los Angeles, l’Alvear di Buenos Aires, il Copacabana di Rio, il Capri dell’Avana, l’Okura di Tokyo, il Peace di Shanghai, il Peninsula di Hong Kong, lo Strand di Rangoon, il Continental di Saigon, l’Oberoi di New Delhi. Non sono alberghi ma romanzi viventi, film, teatri della vita. Basta starci con l’animo del flâneur, del perdigiorno, mai del turista. Per capire ci vuole tempo. Alla fine del tempo, il Grand Hotel comincerà a parlare, a raccontare.
La Stampa