In differita, un brano dell’articolo di sabato apparso sul Corriere a firma di André Glucksmann:
Dovemmo aspettare la metà degli anni Settanta affinché un presidente della Repubblica federale riconoscesse chiaramente e distintamente che la Germania, al termine della Seconda guerra mondiale, non fu «invasa», ma «liberata». È perché la differenza fra queste due parole mostrasse la sua evidenza decisiva che i miei cari, quelli più vicini e quelli più lontani, a Lione, a Omaha Beach, a Stalingrado, sono morti. Si parla a sproposito, con i tempi che corrono, di «legittimità internazionale». L?unica, la vera, fu inaugurata sulle spiagge normanne.
(…) Possono ancora, gli americani, fare appello al diritto d?ingerenza battezzato nel sangue versato per liberare l?Europa? Sì. Malgrado le recenti ignominie commesse nelle prigioni irachene, moralmente insopportabili, politicamente controproducenti e strategicamente assurde, di cui portano l?intera responsabilità? Sì. Perché, nel bene e nel male, gli Stati Uniti restano una democrazia. L?unica, da quanto mi risulta, che non abbia censurato, in piena guerra, la pubblicazione dei crimini commessi dai suoi soldati. L?unica dove la stampa e la televisione svelano in poche settimane la vastità degli abusi e scrutano liberamente gli annessi e i connessi del disastro compiuto. L?unica dove le commissioni d?inchiesta parlamentari portano in tribunale un presidente, ministri, generali, capi dei servizi segreti interrogandoli senza riguardi né restrizioni. Ricordiamoci che la Francia, tanto generosa nell?impartire lezioni, in quarant?anni non ha mai incolpato, giudicato o condannato neanche uno dei militari che torturarono durante la guerra d?Algeria.
Corriere della Sera