Il Manifesto intervista il sociologo Roberto Castel. L’articolo si apre con una lunga considerazione sulla Bicocca e si chiude con altrettanto lunghi ragionamenti sui danni che produce la nostra società (catenaccio: «La crisi del welfare state lascia dietro di sé una moltitudine di uomini e donne che non hanno niente altro da vendere che la loro forza-lavoro. Ma la cancellazione dei dispositivi di protezione sociale conduce il capitalismo sul baratro di una irreversibile crisi sociale»).
Arrivare alla Bicocca di Milano ha un effetto straniante, perché sembra di essere catapultati nel videogioco «SimCity». Strade tutte uguali, così come sono una uguale all’altra le abitazioni che hanno preso il posto delle case del vecchio quartiere operaio nato attorno alla fabbrica della Pirelli tra la fine Ottocento e i primi decenni del Novecento. Costruite tutte a nido d’ape, fluttuano su di un enorme cantiere di un centro commerciale che dovrebbe fornire un po’ dei servizi di cui il quartiere al confine di Sesto San Giovanni è sprovvisto. E proprio come in SimCity, il polo settentrionale di sviluppo urbano segue solo una logica: costruire case e poi pensare ai servizi.
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